A differenza di quasi tutti i mammiferi, l'uomo vede a colori, come gli uccelli, i pesci, i rettili ed alcuni insetti. Questo ha prodotto una situazione di leggera incertezza in qualsiasi teoria scientifica sui colori, riguardo al variare del loro apparire e del loro essere percepiti.1. Colori primitivi
Dalle pitture rupestri del periodo paleolitico al colore dell'era dei computer passano decine di migliaia di anni. Ma sin dalle sue origini l'uomo introduce il colore nel proprio vivere e ambiente quotidiano.
L'introduzione del colore è, forse, inizialmente un evento casuale, non si vuole cioè attribuire ad esso un significato preciso. Il colore, quindi, è nei materiali che usa per riprodurre sulle pareti delle caverne, probabilmente a scopo propiziatorio, gli animali che sono l'obbiettivo della sua attività di cacciatore.
Al giallo è stata tanto negata quanto affermata una dignità di colore primario, ma infine l'alfabeto cromatico che si accetta universalmente è questo: tre colori originari bastano a riprodurre tutti gli altri. Questa prima elaborazione materiale ed "artistica" si tende a limitare i colori primitivi a tre: bianco, nero, ocra, come appare e si coagula il bianco delle calci o dei gessi, il nero dei carboni, il rossogiallo delle argille o delle terre ruggini. Ma questo principio tricromatico e primitivo che ci suggerisce l'etnologia è uno schema operativo altrettanto ridotto di quello scientifico circa i tre colori fondamentali che sono tanto vicini alle proprie lunghezze d'onda da apparire quasi indifferenti agli oggetti che li portano.
Per quanto riguarda il discorso della produzione del colore nel mondo arcaico e primitivo, non lo si può connettere ad un principio di unità, di direzione cromatica. Nonostante ciò si può giungere ad uno schema piuttosto semplificato che include un tipo di evoluzione della percezione del colore in un ampio gruppo di produzione colorica delle civiltà umane; nel diagramma seguente, leggibile da sinistra verso destra si codifica un principio di espansione che prende origine da due colori fondamentali (il bianco e il nero), i quali si evolvono per contrapposizione e distinzione rispetto a quel colore che nel profondo di ogni civiltà nasce originariamente con il sangue e la vita che porta: il rosso (1).
All'interno di questa mancanza di unità il colore diventa, in misura uguale, un procedimento logico di sottrazione delle densità della materia quanto una tecnica materiale di "oggettificazione" e di addizione sul reale. In generale la natura del colore viene di solito interpretata in rapporto contrastante con la forma, come si trattasse di una finissima materia: una percezione intesa a verificare il giudizio soggettivo sul reale e allo stesso tempo la fissazione di una regola (lo spettro cromatico) come sintesi e oggettivazione sul reale.
Pura sensazione e vibrazione dove la causa prevale sugli effetti ? (Newton). Oppure sensibilità e azione intellettuale attraverso la percezione della retina, in quanto intensità, estensione, qualità ? (Schopenhauer). Si tratta comunque di una sapienza di origine antica, via via perfezionatasi presso le grandi civiltà che cominciano ad attribuire ai colori un valore simbolico._____________________________________________________________________________________________________________
(1) Lo schema è ripreso dal saggio di B. Berlin e P. Kay, Basic Color Terms, Berkeley - Los Angeles 1969.