14. Il Cinquecento
Fuori dal prodigioso gomitolo leonardesco sulla teoria dei colori, la trattazione cinquecentesca sul tema del colore si apriva con Antonio Tilesio (o Telesio) nel 1528 con il De coloribus.
Tilesio, superando la tradizione gerarchico-estimativa medievale, ritiene di fissare, con i suggerimenti aristotelici, un principio di catalogazione cromatica fissato sulla nomenclatura, l'etimologia, la concordanza dei colori a lui contemporanei con quelli classici greci e latini secondo i diversi principi d'uso e il linguaggio scritto, che mutuano la sostanza del colore. Questi sono detti colori "filologici" e sono dodici: caeruleus, ater, albus, pullus, ferrugineus, rufus, roseus, puniceus, fulvus, viridis.
Antonio Tilesio e la sua breve memoria hanno molto in comune anche con i trattati sul colore a sfondo dichiaratamente amoroso, che suggeriscono con il modo di vestirsi messaggi segreti alle persone amate, con le proprie livree e insegne oppure di "parlare" segretamente offrendo mazzetti di fiori di vari colori (alcuni autori sul tema sono: Morato, Dolce, de'Rinaldi, Equicola).
Fuori dalla trattazione pittorico-artistica e da quella letterario-cortese le trattazioni magico-naturalistiche del colore in pieno cinquecento (Paracelso, Bernardino Telesio, Cardano e della Porta) possono rappresentare le deviazioni parascientifiche di un altro Rinascimento.
Il bianco, il nero, il rosso secondo Paracelso sono sempre mescolati con la sostanza fondamentale (lo zolfo) e seguono le successive distinzioni cromatiche derivate dalle elementari reazioni chimiche allora possibili.
L'evidenza assunta dai colori "fisiologici" (B.Telesio) nel ricondurre l'effetto materiale del colore alle sue cause materiali è presente anche nel metodo della "scienza fisiognomica" di Giambattista della Porta, come un confronto fra i "coloriti" e i "temperamenti" quali caratteri e riflessioni nel volto e nel corpo (flemmatici, collerici, sanguigni, melanconici oppure necrofiti, palesi, tameneri, convulsi, adiposi).
Ugualmente sul terreno di questa particolare conoscenza protosperimentale, Gerolamo Cardano distingue sui colori princìpi di osservazione ancora vagamente aristotelici, esprimendovi un metodo di individuazione dell'antica nomenclatura, rifondata però "sulle principali differenze dei colori" in riferimento alla natura selenica dei cristalli e delle pietre preziose, quali mezzi per la percezione dei colori, con l'introduzione di alcuni concetti non del tutto primitivi circa la flessione e la rifrazione, per via degli effetti di privazione o di produzione cromatica del raggio luminoso. E' presente in questo nuovo processo di analisi del colore la distinzione fra materia colorica oggettiva o producibile alchemicamente e una substantia cromatica mutuata dalla percezione sensoriale come schema delle forme razionali della visione.
Un'opera in particolare è la vera bibbia del colore in quanto produttiva materia del lavoro colorico del cinquecento: il Plictho de l'arte de tentori (1548) di Giovanventura Rossetti, che si congiunge come universo delle tinte producibili con quello dei profumi e degli aromi nei Secreti dell'arte profumatoria (1555), racchiudendo colori e odori, in un laboratorio di essenze e in un vaso di ispirate sensazioni.
Interessante anche il Trattato dell'arte dalla pittura, scoltura, architettura (1584), dove Giovan Paolo Lomazzo tratta il destino cromatico ravvicinandolo al sapere astrologico, e insieme ad esso al duro destino sancito dalla Controriforma contro l'astronomia divinatrice e "giudiziaria".
Ma da Giotto di Bondone fino al Rinascimento, la storia dell'eccellenza delle arti passa attraverso l'individualità e la genialità dell'invenzione pittorica e il mondo aureo-azzurro dei colori si baserà sulla progressiva distinzione fra il disegno e la forma, distaccandosi dall'ampio complesso dei loro effetti, in quanto pure raffigurazioni che di per sé non soddisfano alcuna rappresentazione in quanto progetto.
E' certo che l'opera pittorica di Michelangelo Caravaggio e di tanti suoi seguaci sembra disconoscere del tutto il disegno (accademico) come formula e sostegno etico delle arti, anche se non si tratta (lo dimostrano le recenti radiografie dei suoi quadri) di vera assenza del disegno, quanto della disseminazione di un disegno sotto e dentro la pelle del quadro, come un tatuaggio. Ma il colore di Caravaggio resta ancora per i suoi tardivi critici una luce oscura non esattamente in contrasto con il disegno ma con l'espressione.