15. Il Seicento
Questo colore carico d'ombra e di impurità non è gran cosa né per il metodo induttivo di Bacone di Verulamio in cui i colores (1644) non sarebbero che caratteri, segni, aspetti, indizi di differenze, non figure positive; né per Galileo (1623) dove i colori come gli odori e i sapori che si fondano sulla variabilità del percipiente, non possono mostrarsi che come fenomeni e occupazioni scientifiche "seconde" rispetto a quelle che si considerano "oggettive" come la figura, il moto, il numero; argomenti ripresi ampiamente da Locke nel Saggio sull'intelletto umano (1690).
Dalla percezione e visione dei colori si stacca, alla fine del cinquecento, lo notiamo nelle opere di Maurolico, Mirami, Galileo, Keplero, Descartes, una scienza dell'osservazione, quasi una prospettiva nuova che si sviluppa da una parte come teoria (e verità) della visione, dall'altra come fisiologia o meccanica della macchina umana dell'occhio e dei nuovi strumenti oculari (cannocchiale o microscopio).
Contro questa riduzione a zero della percezione cromatica rispetto al "bianco" monocromatismo della pura visione, il capitolo Chromocritica del padre gesuita Athanasius Kircher contenuto nell'"Ars magna lucis et umbrae" (1646), annette il colore irrevocabilmente al regno dell'ombra, sopra analoghe osservazioni del veneziano Antonio De Dominicis (1611) che aveva proposto la nascita del colore da una uniforme mescolanza di luce e oscurità. Da ciò la funzione di "privazione" di luce, agisce direttamente sui corpi per indurre le tonalità cromatiche che sono più o meno liberate da questo coinvolgente mondo di spessori d'aria, e poter generare la dominante dei colori dal punto di vista dell'ombra, che sembra essere "luce più sottile".
In ogni modo nel XVII sec. si giunge ad un'evidente distinzione: arte e magia si battono per la produttiva linea d'ombra dei colori rispetto alla scienza sperimentale che considera il fenomeno cromatico un non ben definibile effetto secondario rispetto all'osservazione e percezione ottica.
Da ciò nacque il seguito della fortuna scientifica delle esperienze di Newton che nell'introdurre e risolvere il fenomeno della percezione dei colori, il punto debole e trascurato della scienza cartesiana, lo reimpostò come valore di prova di tutto il suo sistema. L'indagine, francamente alquanto strumentale dell'ottica newtoniana -si veda il volontario occultamento dell'opera concorrente di Robert Hooke - servì, unitamente allo spettacolo dei colori, a legittimare l'attendibilità teorica di quella scienza, la sua diffusione, la sua moda.